Il giorno del” batte”
La trebbia era sempre operativa, le soste venivano fatte a turni, durante la giornata ad intervalli regolari, una o più persone, assegnate a queste mansioni, passavano tra i lavoratori, portando loro vino e acqua.
Il giorno del” batte” (trebbiatura del grano)
La mietitura del grano si iniziava verso la metà del mese di giugno; il grano si tagliava prima con le falci, poi con le “mietilega”, macchine che tagliavano e legavano il grano, trainate dai buoi, per poi passare alle “mietilega” a motore.
Il grano tagliato si raccoglieva in covoni legati con lo stesso grano o con dei fili predisposti, che a sera si raccoglievano in cumoli chiamati “cavalletti”, comprendenti circa 13 o 15 covoni messi uno su l’altro a croce, con la spighe rivolte al centro, uno in testa; sul primo della fila veniva posizionata una croce di canna infilata sopra, per proteggere il raccolto.
Al termine della mietitura, con l’ausilio di carri trainati dai buoi, si raccoglievano i covoni, “ardunava” che venivano portati nell’aia, poi si procedeva alla realizzazione di “barche” o “barcò”, nomi dati a secondo dei luoghi, a forma di parallelepipedo, con covoni sovrapposti sapientemente uno sull’altro; i più grandi potevano raggiungere anche l’altezza di una casa, per una lunghezza di metri 20×10 di larghezza.
Si aspettava con impazienza il turno. La trebbia trainata da un motore a scoppio veniva spostata da un’ aia ad un’altra, in base ad accordi verbali. Il motore a scoppio serviva, una volta “impostata” la macchina, a fornire il moto alla trebbia, tramite un “cintone” di cuoio che collegava la puleggia del motore con la puleggia della trebbia.
La battitura era come una forma di rito, gestita con delle azioni ricorrenti, alla presenza del “fattore”, della “padrona” o del “padrone”. Immancabile la presenza del frate che, per la questua, non mancava mai.
Si iniziava al mattino presto, continuando per tutta la giornata ininterrottamente. A metà mattinata si passava la colazione, con lonza, vino, ciambellone e maritozzi. La trebbia era sempre operativa, le soste venivano fatte a turni. Durante la giornata, ad intervalli regolari, una o più persone, assegnate a queste mansioni, passavano tra i lavoratori, portando loro vino e acqua.
Per tradizione il fischio della sirena, un rudimentale meccanismo azionato a mano sul “cintone” in movimento, portava la gioia tra i lavoranti, che, per l’occasione, erano sempre dei contadini del vicinato o amici che si scambiavano i favori.
Di solito erano due i momenti in cui si ricorreva a questo rituale, il primo quando si raggiungevano i 100 quintali di grano, e si voleva informare sia il vicinato che i lavoranti dell’obbiettivo raggiunto. La soddisfazione era cosi grande che veniva offerta una bevuta extra con del vino, spuma la cedro, caramelle per le donne.
Il secondo suono sanciva la fine della trebbiatura: i lavoranti si accingevano a darsi una grossolana lavata e spolverata, per poi avvicinarsi alla grande tavolata all’aperto e consumare un grande pasto preparato per l’occasione. I padroni e il fattore venivano fatti accomodare e serviti in un tavolo appartato. Al termine del pasto venivano distribuite sigarette agli uomini e caramelle alle donne, poi si iniziava a cantare e ballare per festeggiare la buona riuscita del raccolto.
Un gruppo di operai contraddistinti da un fazzoletto rosso avvolto intorno al collo, chiamati “macchinisti” o “motoristi”, addetti alla conduzione della trebbia, iniziavano le operazioni di smontaggio della macchina, per poterla trasportare presso il contadino vicino e riprendere tutto il giorno successivo, tutti i giorni,senza sosta, per circa 40 giorni.